Studiando come gli attori imparano ruoli e battute un team di ricercatori ha individuato le relazioni tra capacità di ricordare e contenuto affettivo Ecco come il palcoscenico potrebbe aiutare a capire i deficit di memoria
«Tu sai che la maschera della notte mi cela il volto, altrimenti un rossore verginale colorirebbe la mia guancia» sospira Giulietta nella scena del balcone, ma il neuroscienziato Thomas Grunwald la interrompe per spiegare scientificamente che arrossire è una reazione fisiologica involontaria del cervello che segnala la veridicità delle emozioni. I partecipanti al Brain Forum, la conferenza internazionale sulle neuroscienze tenutasi a Losanna hanno vissuto un’esperienza molto coinvolgente. Gli attori della Scuola superiore delle arti di Zurigo hanno recitato per loro Romeo e Giulietta e il ricercatore ha spiegato punto per punto i retroscena biologici delle emozioni espresse sul palco, dando vita a una singolare relazione congressuale.
Thomas Grunwald è ricercatore presso il Centro studi per l’epilessia di Zurigo e assieme ad Anton Rey, regista e studioso di teatro della Scuola superiore delle arti di Zurigo, ha studiato le origini neurali delle emozioni con l’aiuto degli attori. «Gli attori sono i soggetti ideali per questo tipo di ricerca», spiega Rey, «essendo professionisti nel manifestare le emozioni». Fin dalla formazione imparano che si può essere credibili in scena solo calandosi completamente nella parte e sia in teatro che sul grande schermo devono essere in grado di esprimere emozioni a comando.
Questa spontaneità guidata è stata molto utile ai ricercatori. Hanno sottoposto a risonanza magnetica cerebrale gli attori, sia alunni della scuola di teatro che stelle del palcoscenico e del grande schermo come Stefan Kurt o Hanspeter Müller-Drossaart, mentre recitavano a memoria, meccanicamente, un testo teatrale famoso. Ne è risultata una mappa delle aree cerebrali attive durante la recitazione. In seguito i soggetti hanno dovuto immaginare di trovarsi in palcoscenico e recitare mentalmente la scena lasciando spazio a tutta l’emotività. La differenza nella mappatura delle attività cerebrali è risultata sorprendente. In particolare negli attori più esperti si è rilevata una chiara attivazione del sistema emotivo. Evidentemente gli attori navigati attivano in palcoscenico i centri neurali delle emozioni. «Gli attori esperti ricreano continuamente il mondo e i personaggi che interpretano, non si limitano a riprodurre meccanicamente la scena », spiega Rey. I giovani attori invece in genere recitano a memoria, utilizzando meno i centri cerebrali in cui si creano emozioni nuove. Non si sa ancora spiegare come sia possibile rinnovare costantemente l’emozione. Nelle scuole di recitazione si usano due metodi di insegnamento molto diversi tra loro. Il primo, che si fa risalire a Stanislawsky o a Strasberg prevede che gli attori si concentrino per attingere le emozioni da una sorta di memoria emotiva. Il secondo metodo, quello targato Brecht, insegna agli attori ad accedere alle emozioni attraverso la mimica corporea. Ad esempio recuperare allegria atteggiando la bocca al sorriso. «Però è più di una semplice finzione », dice Rey. «L’attore può gestire l’atteggiamento corporeo in modo che l’emozione sia realmente presente». Gli esperimenti avevano un obiettivo. «Volevamo scoprire in che cosa gli attori riescono meglio rispetto alle altre persone», dice Rey. «Ad esempio la straordinaria capacità di un attore ottantenne di recitare a memoria tutto il Re Lear ». In che relazione si pongono la recitazione, le emozioni e la buona memoria? La ricerca sull’epilessia condotta da Thoma Grunwald ha condotto a interessanti scoperte sulla memoria. Nella forma più frequente di questa patologia gli attacchi si scatenano soprattutto nell’ippocampo. Esistono due di queste regioni cerebrali una in ogni lobo temporale. Quando in passato i pazienti subivano interventi chirurgici in quest’area talvolta si aveva una distruzione totale della memoria. Oggi si sa che l’ippocampo ha un ruolo decisivo per la memoria dichiarativa o esplicita, che riguarda i ricordi comunicabili. «Oggi possiamo stabilire in anticipo con buona approssimazione quali funzioni della memoria consapevole sono coinvolte in una procedura chirurgica e eventualmente sconsigliarla», dice Grunwald. «Molto meno indagata è la componente emotiva della memoria ». L’amigdala può essere definita la centrale delle emozioni. Si tratta di una piccola regione del cervello delle dimensioni di un polpastrello, collocata subito sotto l’Ippocampo. È indubbio che le emozioni hanno un ruolo fondamentale per la memoria. Ci ricordiamo determinati contenuti se sono importanti per noi, e un contenuto è importante se è collegato a delle emozioni.
La scoperta dei complessi meccanismi di interazione tra emozioni e memoria porta i ricercatori a riconoscerne il ruolo in molte patologie, come la demenza, l’ictus o i tumori cerebrali, ma risulta utile anche nella quotidianità. «e persone anziane incontrano più difficoltà a memorizzare elenchi di parole rispetto ai giovani», spiega Grunwald. «Ma se alle parole si associa una valenza emotiva e i soggetti le approcciano a livello di contenuto le differenze tra anziani e giovani si annullano ». Gli esperti la definiscono “codifica elaborativa”. Gli attori evidentemente riescono a caricare i emozioni anche testi a loro estranei rendendoli importanti così da non dimenticarli.
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